Con l’Ordinanza n. 15107 del 15 luglio 2020, la Cassazione affronta il tema dei confini della responsabilità datoriale in caso di incidenti sul luogo di lavoro.

In particolare, con la richiamata pronuncia, viene ribadito il principio – già richiamato dalla Corte d’Appello – secondo cui “la natura sussidiaria della norma di cui all’art. 2087 cod. civ. e la sua interpretazione estensiva non possono spingersi sino al punto di configurare una responsabilità oggettiva del datore di lavoro per ogni infortunio occorso al dipendente, poiché la responsabilità datoriale deve essere ricollegabile ad un comportamento colpevole riconducibile alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza”.

Al fine di comprendere meglio la portata della richiamata pronuncia occorre analizzare la vicenda sottoposta all’esame della Suprema Corte, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno avanzata da Tizio, dipendente regolarmente assunto presso la Società Beta con mansioni di autista, a seguito di un infortunio sul lavoro.

La dinamica del sinistro

Tizio si trovava nel parcheggio di pertinenza di Beta, nonché della Società Gamma, nell’atto di uscire dallo stesso rimaneva intrappolato con la mano ed il polso nel cancello automatico dell’area.

Infatti, detto cancello si apriva senza consentire al soggetto in questione di estrarre, per tempo, la mano che aveva dovuto introdurre tra le sbarre per poter azionare il comando di apertura posto all’esterno, poiché non funzionante nella parte interna.

Le conclusioni della Corte d’Appello

Secondo i Giudici di secondo grado doveva ritenersi esclusa la responsabilità della Società Beta, dal momento che non era stata resa edotta del malfunzionamento del cancello e, conseguentemente, della pericolosa manovra che i propri dipendenti (Tizio compreso) erano costretti a porre in essere per potere aprire il cancello in questione e uscire dal parcheggio.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte con la pronuncia in commento conferma quanto statuito nei due precedenti gradi di giudizio.

In particolare, quello che emerge dalla Sentenza è che incombe sul lavoratore – che deduca di avere subito un danno in conseguenza dell’attività lavorativa svolta – l’onere di provare il fatto che costituisce l’inadempimento del datore di lavoro, nonché il nesso di casualità materiale tra tale inadempimento ed il danno stesso.

In altre parole, quindi, il lavoratore deve necessariamente fornire la prova che il danno che lo stesso sostiene di avere subito nell’espletamento delle proprie mansioni sia stato causato da un inadempimento del datore di lavoro.

Nel caso di specie, il dipendente non ha dimostrato né di avere informato la Società Beta dell’impossibilità di aprire il cancello, né che quest’ultima fosse a conoscenza di detto malfunzionamento.

Secondo i Giudici della Suprema Corte siffatta carenza probatoria è di per sé sufficiente ad escludere l’esistenza di un inadempimento della parte datoriale all’obbligo di sicurezza sulla stessa gravante e consistente – nel caso de quo – nell’obbligo di porre rimedio a detto malfunzionamento.

Pertanto, il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile per ogni infortunio sul lavoro occorso ai propri dipendenti, poiché la responsabilità datoriale deve essere ricollegabile ad un comportamento colpevole riconducibile alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza che, nella fattispecie, non sussisteva in termini preventivi.

Diversamente, invero, si sconfinerebbe in una responsabilità oggettiva dell’imprenditore chiamato a rispondere per il solo fatto di essere titolare di una posizione di garanzia.

Inoltre, la Cassazione – richiamando un consolidato orientamento della Giurisprudenza della medesima Corte – ha ribadito il principio secondo cui «la condotta del lavoratore può comportare esonero totale dell’imprenditore da ogni responsabilità, quando presenti i caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, così da porsi come causa esclusiva dell’evento».

Nel caso di specie Tizio, invece che informare il proprio titolare dei difetti di funzionamento riscontrati, ha posto in essere una condotta esorbitante le mansioni allo stesso affidate, poiché al termine della propria giornata lavorativa introduceva una mano nel cancello automatico, rimanendo impigliato tra le sbarre.

Un comportamento, quello poc’anzi descritto, volontario, palesemente abnorme e svincolato da qualsiasi forza maggiore (cd. rischio elettivo) e, conseguentemente, idoneo ad interrompere ogni eventuale condotta colposa del datore di lavoro.

Il rischio elettivo, infatti, si configura ogni qualvolta il lavoratore scelga liberamente di porsi in una situazione che lo mette di fronte ad uno stato di pericolo diverso quello inerente l’attività lavorativa.

Alla luce delle motivazioni esposte, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore Tizio e, conseguentemente, la richiesta di risarcimento dei danni dallo stesso subiti.

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