Come noto, il D. Lgs. 08.06.2001 n. 231 e successive modifiche disciplina la responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, ancorché prive di personalità giuridica, per gli illeciti amministrativi dipendenti da talune fattispecie di reato, elencate dallo stesso decreto legislativo negli artt. 24 e ss.

Tuttavia, non tutte le attività commesse in violazione delle prescritte disposizioni sono rilevanti ai fini “231”, in quanto fondamentale e dirimente è che i reati de quibus vengano commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

È quanto previsto dall’art. 5 dello stesso D. Lgs. 231/2001, laddove, appunto, sancisce, al comma 1, che “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

  1. a)  da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
  2. b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

Ferma restando, invero, la responsabilità penale della persona fisica che abbia commesso il fatto incriminato, l’eventuale responsabilità amministrativa dell’ente dovrà essere valutata con esclusivo riferimento al vantaggio che abbia eventualmente conseguito.

In aderenza al dettato normativo si è espresso il Tribunale di Milano nell’ambito di un caso di cui si è occupato lo studio, riguardante la contestazione in capo ad un ente della violazione dell’art. 25 undecies D Lgs. 231/2001 per aver, nello scarico di acque reflue, superato i limiti di accettabilità in relazione alle sostanze indicate nella tabella V, allegato V alla parte terza, D. Lgs 152/2005.

Orbene, la tesi sostenuta dalla difesa – e che il Giudice ha deciso di avallare – muoveva dal presupposto che i superamenti delle soglie contestati furono innanzitutto episodici, ma soprattutto che le modalità di smaltimento delle acque risultate contaminate non ebbero ad incidere in alcuno modo sul processo industriale dell’ente incriminato né in termini di risparmio di costi di produzione né di depurazione, sicché non poteva ritenersi integrato l’elemento soggettivo di cui all’art. 5 D. Lgs. 231/2001.

Sulla scorta delle suddette considerazioni, il Giudice penale ha dunque ritenuto di dover escludere la responsabilità amministrativa dell’ente imputato, “in assenza di prova del presupposto normativo fissato dall’art. 5 del D. Lvo. 8 giugno 2001, n. 231”.

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