Dopo anni di vivace dibattito l’ordinamento italiano ha definitivamente deciso di inserire a tutti gli effetti nell’elenco dei reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 anche i reati tributari.

Per completezza, vi è in ogni caso da rilevare come già con l’impianto normativo sino ad oggi conosciuto, in realtà, diverse figure di reato fossero in vario modo collegate a quelli fiscali.

Nel contesto ante manovra finanziaria 2020, infatti, i delitti tributari venivano in rilievo quali possibili reati presupposto di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego.

Era quindi già da tempo chiaro quale fosse a lungo termine l’intento del legislatore: controllare i flussi economici-finanziari delle imprese al fine di assicurarne la tracciabilità e quindi monitorarne l’eventuale provenienza illecita.

Ebbene.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 26 ottobre 2019 è stato pubblicato il Decreto Legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” (il “Decreto Fiscale”), che introduce nel catalogo dei reati 231 il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

La nuova disposizione sul punto (art. 39 Decreto Fiscale, come convertito in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124), introduce l’articolo 25-quinquiesdecies, rubricato “Reati tributari”, che recita: “In relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

  1. a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’articolo 2, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
  2. b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’articolo 2, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
  3. c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall’articolo 3, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
  4. d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’articolo 8, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
  5. e) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’articolo 8, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
  6. f) per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall’articolo 10, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
  7. g) per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall’articolo 11, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
  8. Se, in seguito alla commissione dei delitti indicati al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo. 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)”.

A mente dell’impianto sanzionatorio vigente in 231, dunque, ciò vorrà dire che l’ente trasgressore della normativa in commento potrà – se pur nella peggiore delle ipotesi – essere condannato sino al pagamento della pena pecuniaria pari a Euro 774.500,00.

E, ovviamente, tale sanzione si sommerà a quella già vigente dettata proprio dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 a cui il D.lgs. 231/2001 compie rimando.

Sempre in termini pratici, ciò vorrà dire che oltre al pagamento sopra menzionato da parte dell’ente, in caso di accertata violazione della normativa tributaria, sarà punito con la reclusione “da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

Aggiunge, il D.gs. 74/2000, che” Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.

Una stretta ulteriore sui reati tributari si è avuta anche con il recepimento della c.d. Direttiva PIF (Direttiva (UE) 2017/1371 “relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale”).

Il Governo italiano, infatti, è chiamato ad integrare ulteriormente il Catalogo dei reati 231 “prevedendo espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni del medesimo decreto legislativo”.

Ma in ogni caso, ciò che rileva è che è ormai improrogabile l’ampliamento del novero dei reati-presupposto della responsabilità da reato degli enti in modo da farvi rientrare anche le condotte di frode IVA (che siano, secondo i parametri ex artt. 2 e 3 Direttiva Pif) gravi.

La condotta illeceità, nello specifico, sarà grave quando ricorra la fraudolenza e la transnazionalità della condotta e, contestualmente, qualora le azioni od omissioni di carattere intenzionale comportino “un danno complessivo pari ad almeno 10.000.000,00 EUR” una soglia, dunque, facilmente raggiungibile.

Si richiama, quindi, l’attenzione delle imprese già dotate di un proprio MOGC 231 affinché intraprendano quanto prima una approfondita valutazione del proprio rischio fiscale e, quindi, diano seguito all’aggiornamento del Modello medesimo.

Non meno importante, però, è sottolineare che anche per coloro che non avessero ancora ritenuto necessario adeguarsi a tali sistemi di compliance, sia ormai divenuto impellente regolamentare e definire un sistema normativo aziendale adeguato a scongiurare il rischio di infrazione della ormai sempre più complessa normativa 231.

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