Per l’Ente non vi può essere alcun beneficio e/o esimente di pena laddove quest’ultimo non abbia adottato ed efficacemente attuato un proprio Modello di Gestione e Controllo ai sensi del D.lgs. 231/2001.

Tale concetto è semplice, chiaramente espresso dalla normativa, ma molto spesso ignorato (quantomeno sino a quando – suo malgrado – l’Ente non viene chiamato a fare i conti con una situazione imprevista, e illecita, al proprio interno).

Solo pochi giorni fa, una nuova pronuncia della Cassazione ha cristallizzato in maniera ancor più definitiva tale concetto.

La Sentenza richiamata in epigrafe affronta per l’appunto il tema della responsabilità amministrativa degli Enti in occasione di una tragica vicenda che è sfociata in un incidente mortale per un dipendente della società medesima a fronte della violazione della normativa antinfortunistica (D.lgs. 231/2001, art. 25 septies).

L’Ente in questione, nel sinistro sopra richiamato, benchè disponesse di un Modello di Gestione e Controllo – per di più conforme alle norme BS OHSAS 18001:2007 –  nel caso specifico non ha potuto essere considerato esente da responsabilità amministrativa a causa della non corretta ed effettiva attuazione del proprio MOGC “sia con riferimento alla mancata previsione di istruzioni operative” per l’attività compiuta dal lavoratore, sia “avuto riguardo all’attività di monitoraggio, anch’essa inadeguata rispetto ai rischi esistenti e alla realizzazione di un sistema di vigilanza  – da parte del competente organismo – che riguardasse l’attuazione del modello organizzativo e non la concreta osservanza, nei luoghi di lavoro, delle norme in esso previste”.

La posizione di garanzia ricoperta dal datore di lavoro in punto di prevenzione, così come quella di coloro che sono dotati di specifica delega in materia di salute e sicurezza, non viene compressa neppure laddove vi sia nei fatti spazio di autogestione da parte dei singoli lavoratori poiché, questi ultimi, devono sempre essere preservati.

Sul punto appare fondamentale il passaggio richiamato in Sentenza, così come espresso in secondo grado dalla Corte d’Appello di Brescia “Le norme prevenzionistiche […] sono intese a tutelare non solo il lavoratore inesperto, distratto o stanco, ma anche quello esperto, il quale – assuefatto al pericolo – coscientemente e volontariamente, confidando sulle sue capacità, abilità e esperienza, ponga in essere comportamenti funzionali alle mansioni affidategli  e non eccentrici rispetto ad esse, al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute, magari per migliorare l’attività o il prodotto, per non interrompere la lavorazione in corso, per velocizzare il lavoro, aiutare un collega o per altri motivi verificabili in concreto”.

Quanto espresso ancora una volta dalla Suprema Corte, quindi, è riprova del fatto che è oggi richiesto agli operatori di mercato un cambiamento etico forte e radicale del proprio modus operandi, che privilegi in termini effettivi la creazione di un sistema di prevenzione efficace, prima, e un forte monitoraggio dell’impianto ideato, poi.

Momenti cruciali per l’allineamento alla normativa di cui al D.lgs. 231/2001, quindi, non possono essere considerati esclusivamente quelli della valutazione del rischio, ma anche – e, forse soprattutto – le successive fasi di applicazione del Modello ideato, delle procedure, così come quello della designazione del proprio Organismo di Vigilanza, deputato alla verifica dell’attuazione dello stesso.

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