Siamo forse giunti ad un’inversione di tendenza, anzi, ad un vero e proprio cambio di marcia con riguardo ad uno dei precetti fondanti la normativa che regola la nota responsabilità amministrativa (parapenale) delle imprese.

L’originario schema normativo del D.lgs. 231/2001 è stato, infatti, pensato al fine di consentire alle aziende di rendersi virtuose e quindi scegliere se e come costruire un sistema di protocolli e procedure mediante le quali organizzare la propria attività di impresa.

Ciò, con l’obiettivo di preservare il proprio patrimonio laddove una o più violazione di condotte penalmente rilevanti avrebbero potuto concretizzarsi nell’ambito dell’esercizio ordinario dell’azienda stessa.

Mediante uno stanziamento di fondi ed energie, non solo economiche, dunque, gli enti avrebbero potuto veder riconosciuto ex post un “premio” – l’esimente o lo sconto della pena – per aver efficacemente adottato ed attuato un modello di autoregolamentazione delle proprie attività.

Il principio fondamentale, però, che è sempre stato alla base di tale sistema premiale, era quello della libertà dei soggetti interessati dalla normativa di scegliere se aderire o meno alla facoltà in tal senso concessa dalla legislazione.

Legislazione che, invece, oggi si sta muovendo in maniera sempre più netta verso una nuova filosofia della norma.

Se venisse approvato, infatti, il disegno di Legge n. 276 oggi rimesso all’esame della Commissione di Giustizia, l’adozione di un Modello di gestione e controllo 231 da possibilità diverrebbe obbligo.

Si ravvisa la necessità di “porre nel nostro ordinamento basi ancor più solide perché si sviluppi una cultura della legalità d’impresa e della prevenzione di ogni stortatura e abuso dell’iniziativa economica privata e pubblica. Nel solco di quanto sopra rappresentato, il presente disegno di legge intende introdurre l’obbligatorietà del modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n.  231, che contiene la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”.

Obiettivo del disegno di legge è quello di promuovere la cultura della legalità negli enti e nelle imprese. Sconfiggere la criminalità.

A supporto del proprio intento, il disegno legge evidenzia come ormai da tempo alcune Regioni abbiano già provveduto a determinare l’obbligatorietà del Modello 231 per particolari categorie di enti.

Fra queste, la Regione Lombardia, sin dal 2012 ha statuito “l’obbligatorietà dell’adozione di un modello 231 e di un codice etico per le unità d’offerta socio-sanitarie al fine di ottenere o mantenere l’accreditamento regionale”.

Sembrerebbe sostenere tale “nuova” proposta applicativa del D.lgs. 231/2001 anche la giurisprudenza.

Prima fra tutte – come ricordano i promotori del disegno di legge in commento – quella del foro meneghino: “il tribunale di Milano, con la sentenza n. 1774 del 2018, ha riconosciuto uno specifico dovere in capo all’amministratore della società parte di causa all’attivazione di quanto disposto dal decreto legislativo n. 231 del 2001. In virtù di ciò, nel caso se quo, la Corte ha ravvisato una mala gestio, sussistendo pertanto la responsabilità per inadeguata attività amministrativa legittimante un’azione di responsabilità ex articolo 2392 del codice civile e ha per l’effetto riconosciuto l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria in capo al medesimo, poiché l’amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione è tenuto al risarcimento della sanzione amministrativa di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 231 del 2001, nell’ipotesi di condanna dell’ente a seguito di reato, qualora non abbia proposto di adottare un modello organizzativo […]”.

Alcuna variazione è invece proposta con riguardo all’attuale sistema sanzionatorio che, quindi, si conferma nella sua composizione attuale, di seguito brevemente richiamata:

  1. la sanzione pecuniaria;
  2. le sanzioni interdittive;
  3. la confisca;
  4. la pubblicazione della sentenza.

La gravità delle sanzioni interdittive è data dal loro tenore:

  1. l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  4. l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  5. il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

 

Viste le possibili ripercussioni, quindi, vale certamente la pena rimanere aggiornati sul tema se non, ancor forse più opportuno, iniziare a pensare di sottoporre in via preventiva la propria azienda a uno screening volto a porre in luce chiaramente le eventuali carenze organizzative e culturali a cui far fronte per evitare di ricadere in condanne sanzionatorie di irreversibile portata per il benessere della propria impresa.

Per ogni approfondimento lo Studio resta a disposizione all’indirizzo e-mail segreteria@margiottalegal.it.