La Commissione per la riforma dei reati in materia agroalimentare (cd. “Commissione Caselli”), istituita con il D.M. 20.4.2015, ha ormai concluso i lavori e presentato al Ministro della Giustizia uno Schema di disegno di legge e le relative Linee guida illustrative.

La Commissione Caselli ha lavorato su tre necessità: “estendere la responsabilità degli enti ai reati alimentari di maggiore gravità; incentivare l’applicazione concreta delle norme in tema di responsabilità degli enti, da parte dell’autorità di polizia giudiziaria e della stessa autorità giudiziaria; favorire l’adozione e l’efficace attuazione di più puntuali modelli di organizzazione e di gestione da parte delle imprese anche di minore dimensione” .

Il cammino della Commissione si è avvicendato seguendo dunque le seguenti direttrici:

I. la delimitazione della categoria dei reati di pericolo contro la salute;
II. la rielaborazione del sistema sanzionatorio contro le frodi alimentari;
III. la creazione di nuove ipotesi di non punibilità sopravvenuta;
IV. l’estensione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai reati in materia agroalimentare.

Le proposte di modifica sono varie e riguardano: il Codice Penale, taluni istituti del Codice di Procedura Penale, la legge n. 283 del 1962 (“Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”) e, non da ultimo il D.lgs. 231/2001.

Quest’ultimo, introdotto per attribuire agli Enti delle responsabilità per un fatto illecito commesso da una persona fisica appartenente alla sua struttura, ha avuto negli ultimi anni una risonanza sempre maggiore.

Con specifico riferimento al comparto agroalimentare, ciò che pare doveroso evidenziare è come, laddove il progetto di riforma dovesse concretizzarsi in novella, vi sarebbe in primo luogo un automatico ampliamento dei reati presupposto alle frodi in commercio di prodotti alimentari (art. 516, 517, 517 quater e 517 quater.1 c.p.) e ai delitti contro la salute pubblica (artt. 439, 439 bis, 440, 440 bis, 444, 445 bis e 452 c.p.).

Così, come al contempo sarebbe doveroso per le imprese operanti nel settore adottare – e fare proprio nel sistema gestionale di impresa – una peculiare figura di Modello di gestione e controllo.

L’apparato normativo del 2001 postula la necessità che l’Ente si organizzi dall’interno al fine di evitare che l’attività del personale ivi impiegato possa sfociare nella commissione di determinati illeciti, suscettibili di ingenerare indebiti vantaggi per l’impresa medesima.

L’idoneità esimente o attenuante della responsabilità si avrà con l’attuazione di un modello in grado di conformarsi agli obblighi nazionali ed internazionali, con particolare riferimento:

a) al rispetto degli standard relativi alla fornitura di informazioni sugli alimenti;
b) alle attività di verifica sui contenuti delle comunicazioni pubblicitarie al fine di garantire la coerenza degli stessi rispetto alle caratteristiche del prodotto;
c) alle attività di vigilanza con riferimento alla rintracciabilità, ovvero alla possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un prodotto alimentare attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione;
d) alle attività di controllo sui prodotti alimentari, finalizzati a garantire la qualità, la sicurezza e l’integrità dei prodotti e delle relative confezioni in tutte le fasi della filiera;
e) alle procedure di ritiro o di richiamo dei prodotti alimentari importati, prodotti, trasformati, lavorati o distribuiti non conformi ai requisiti di sicurezza degli alimenti;
f) alle attività di valutazione e di gestione del rischio, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo;
g) alle periodiche verifiche sull’effettività e sull’adeguatezza del modello.

È parere della dottrina specificare come “sebbene la Commissione non si spinga fino a prevedere l’adozione del MOG come obbligatoria, l’evidenziare come strutturare il MOG e chi possa ricoprire il ruolo di organismo di vigilanza in base alle dimensioni aziendali, al numero dei dipendenti e al volume d’affari, al tipo di formazione posseduta, trasformerebbe il mero onere in un obbligo travestito da onere” .

Le società attive nel settore agroalimentare dovranno adottare MOG con specifiche caratteristiche, appresso sommariamente evidenziate (ipotizzato art. 6 bis D.lgs. 231/2001)

a) rispetto degli standard relativi alla fornitura di informazioni sugli alimenti;
b) attività di verifica sui contenuti delle comunicazioni pubblicitarie al fine di garantire la coerenza degli stessi rispetto alle caratteristiche del prodotto;
c) attività di vigilanza con riferimento alla rintracciabilità, ovvero alla possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un prodotto alimentare attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione;
d) attività di controllo sui prodotti alimentari, finalizzati a garantire la qualità, la sicurezza e l’integrità dei prodotti e delle relative confezioni in tutte le fasi della filiera;
e) procedure di ritiro o di richiamo dei prodotti alimentari importati, prodotti, trasformati, lavorati o distribuiti non conformi ai requisiti di sicurezza degli alimenti;
f) attività di valutazione e di gestione del rischio, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo;
g) periodiche verifiche sull’effettività e sull’adeguatezza del modello.

Sul piano tecnico, dunque, vi sarà minor libertà per gli Enti nel costruire il proprio MOG ma questa ristrettezza, probabilmente, sarà ripagata da una minor discrezionalità dell’Autorità Giudiziaria nel valutarne l’idoneità funzional-preventiva in caso di infrazione.

Tutto quanto sopra rende evidente come il trend sarà inevitabilmente quello di aumentare per le imprese le proprie misure preventive, anche mediante l’adozione – pressoché inevitabile – di Modelli di gestione e controllo ex D.lgs. 231/2001.

1 – Cfr. Linee Guida, cit., 18.
2 – Francesco Urbinati, Osservatorio sulla responsabilità degli enti.